biografia
Firenze, 1940 – Roma, 1971
Paolo Scheggi si è formato all’Istituto Statale d’Arte e all’Accademia di Belle Arti di Firenze. Mentre era ancora studente, nel 1960, espose i suoi dipinti e i suoi primi pezzi realizzati con fogli metallici sovrapposti alla Galleria Numero di Firenze. L’anno dopo realizza la sua prima mostra personale alla Galleria Vigna Nuova di Firenze.
I primi viaggi di Scheggi tra Londra e Roma lo introdussero alle opere di Mondrian e Arp, e gli permisero di avvicinarsi alla filosofia. Nel 1961 si stabilì a Milano, dove entrò a far parte della fiorente avanguardia italiana che si era modellata attorno a Lucio Fontana negli anni ’50, al fianco di Enrico Castellani, Vincenzo Agnetti, Agostino Bonalumi e Dadamaino.
Attraverso un approccio multidisciplinare che coinvolge arti visive, architettura, moda, poesia e performance, Scheggi si avvicinò agli artisti che il critico Gillo Dorfles definì come “oggettuali”.
Trovando ispirazione sia dagli esperimenti cinetici di Enrico Castellani che in una riformulazione dello Spazialismo di Lucio Fontana, Scheggi adottò anche il monocromo. Il suo linguaggio artistico si è quindi spostato oltre gli insegnamenti del cubismo e dello stile informale europeo attraverso un’articolazione dialettica di concetti artistici distintivi: massa/vuoto, interno/esterno, addizione/sottrazione e affermazione/negazione. Questi elementi sono tradotti nella sua opera da squarci, scanalature, buchi e ondulazioni su tele ad incastro e sovrapposte che creano l’illusione della profondità e portano il dipinto ad essere considerato come un oggetto, piuttosto che una superficie.
Nel 1965, si unì al gruppo New Art Practice, che lo mise in contatto con i gruppi Zero e Nul, dando alla sua carriera una dimensione internazionale. In effetti, quello stesso anno, Scheggi prese parte ad Art Rental, al Museum of Modern Art di New York, e l’anno successivo, a soli 26 anni, fu invitato a esporre le sue opere alla Biennale di Venezia.
Gli ultimi anni della carriera di Scheggi sono caratterizzati dalla sua sperimentazione con lo spazio attorno all’opera d’arte. Assumendo una dimensione architettonica, i suoi ultimi pezzi hanno giocato con il rapporto tra l’opera d’arte e l’ambiente, nonché con la percezione dello spettatore. Le sue ultime opere sono state esposte un anno dopo la sua morte alla Biennale di Venezia del 1972. In un postumo omaggio all’artista, Fontana ha scritto: “Mi piacciono le tue ricerche, le tue ricerche e le tue tele, così profondamente nere, rosse, bianche; rivelano i tuoi pensieri, le tue paure”.
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