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Tornabuoni Art è lieta di annunciare la mostra Alighiero Boetti – “Pensando all’Afghanistan”, che presenta il lavoro di Alighiero Boetti (1940 – 1994) con un focus particolare sul suo rapporto con l’Afghanistan e il suo popolo.
Fu nella primavera del 1971 che Alighiero Boetti, alla ricerca di “qualcosa di lontano”, scoprì l’Afghanistan. Questo fu l’inizio di una relazione che legò l’uomo e la sua opera al popolo afgano per 23 anni fino alla morte dell’artista nel 1994. Boetti mantenne questi legami durante l’episodio dell’esilio seguito all’invasione sovietica del 1979, accogliendo persino alcuni dei suoi assistenti nella propria famiglia in Italia. L’Afghanistan è la scena della produzione di molte delle opere più note di Alighiero Boetti, tra cui le Mappe (1971-1994), realizzate da ricamatrici afgane. Le sue intenzioni artistiche, la sua esperienza del paese e la sua curiosità intellettuale danno vita a opere che agiscono come sismografi culturali e geopolitici. Il suo lavoro è una testimonianza delle trasformazioni socio-politiche che hanno interessato il Medio Oriente negli anni ’70 e ’80, vedendo, per esempio, le ricamatrici fuggire a Peshawar, in Pakistan, dove sono stati prodotti alcuni degli ultimi ricami.
Alighiero Boetti – “Pensando all’Afghanistan” presenta una selezione di opere tipiche di questo periodo, i Lavori postali, alcuni ricami iconici ed una serie di lavori su carta concepiti nel suo studio romano in un periodo in cui gli era impossibile viaggiare in Afghanistan, tra cui Primo lavoro dell’anno pensando all’Afghanistan (1990) da cui la mostra prende il nome. L’esposizione è accompagnata da una ricca selezione di fotografie e documenti d’archivio affidati dalla famiglia dell’artista, che danno una visione del contesto in cui Alighiero Boetti ha lavorato.
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La distanza che l’artista ha cercato di coprire viaggiando in Afghanistan è presumibilmente un desiderio di prendere le distanze dalla “guerriglia” dell’Arte Povera, un movimento teorizzato tre anni prima da Germano Celant e da cui Alighiero Boetti, profondamente sovversivo, ha cercato di liberarsi. La fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70 furono anche segnati dall’inizio degli “anni di piombo”, che videro l’Italia diventare teatro di scontri tra militanti di estrema sinistra e di destra. Alighiero Boetti ammette: “Ho considerato il viaggio da un punto di vista puramente personale ed edonistico. Ero affascinato dal deserto… la nudità, la civiltà del deserto”.
Nel 1971, l’Afghanistan, governato dal riformista Shah Mohammed Zahar, era un paese aperto, all’incrocio del sentiero hippie che molti occidentali prendevano sulla loro strada verso Kathmandu. Era anche un luogo di scambio e di commercio dove si incontrano commercianti indiani, pakistani e iraniani ed espatriati europei. Una delle prime opere che Alighiero Boetti creò a Kabul fu un Lavoro Postale. Appassionato viaggiatore, Boetti trascorse lunghi periodi in diversi continenti. I suoi soggiorni in paesi come l’Etiopia, il Guatemala e il Giappone hanno ispirato la creazione di queste opere, basate sulla permutazione matematica dei francobolli. I servizi postali, ignari dell’unicità formale di ogni busta, determinata attraverso il posizionamento, il colore e il disegno dei francobolli, sono i lavoratori anonimi dell’opera d’arte che diventa una missiva una volta arrivata a destinazione.
A Kabul, Alighiero Boetti incontrò Dastaghir, un giovane impiegato dell’albergo dove alloggiava, che lo aiutò a procurarsi la grande quantità di francobolli necessaria per i Lavori Postali. Nell’autunno del 1971, Boetti aprì con lui l’ormai famoso One Hotel a Kabul, dove Boetti tornava due volte all’anno, spesso con la sua famiglia. Aveva una stanza lì che, al suo arrivo, si trasformava in uno studio, la base dei suoi progetti afgani. Dastaghir fu anche il collegamento tra Alighiero Boetti e le ricamatrici afgane che assistettero l’artista nell’esecuzione della sua serie di ricami su tessuto, in particolare le iconiche Mappe. Ognuna di queste mappe, ricamate con la tecnica ancestrale afgana, è una radiografia del suo tempo, un ricordo della caducità dei concetti nazionalisti e una variazione infinita della stessa regola. Vediamo le bandiere cambiare secondo le fluttuazioni geopolitiche del mondo, ma anche i mari, a volte verdi, viola o blu, unici spazi di innovazione cromatica lasciati alla volontà delle ricamatrici afgane che spesso non potevano che immaginare l’oceano da questo territorio senza sbocchi sul mare che è l’Afghanistan.
Un’altra serie eseguita a Kabul e Peshawar sono i Ricami. Queste opere sono un ponte tra Oriente e Occidente, tra contenuto e forma, in quanto l’artista determina il significato della parola e lascia al caso la scelta dei colori. Sono composti da griglie a mosaico di lettere che si combinano in parole e frasi che lo spettatore deve decifrare secondo una direzione di lettura che varia da un’opera all’altra. Le frasi selezionate sono prese da proverbi, citazioni o poemi sufi. Sono presenti anche le frasi chiave di Boetti (Ordine/Disordine, Segno/Disegno…). Un lavoro monocromo di questa serie, un’opera di grande importanza per le sue dimensioni (172 x 178 cm), è esposta in questa mostra.
Tornabuoni Art presenta anche in occasione di Alighiero Boetti – “Pensando all’Afghanistan” due Tutto, tra cui una rara copia bicolore che rappresenta una costellazione fatta di mappe nere dell’Afghanistan su sfondo bianco. Il Tutto, che Alighiero Boetti definì “il massimo della teoria, il massimo del concettualismo”, obbedisce a una regola che combina diversi simboli e forme culturali riconoscibili che, affiancati, fondono le proprie identità in un Tutto, un “Intero”. L’opera d’arte definisce se stessa, il confine di una forma che porta alla successiva. Una molteplicità di comprensioni è offerta allo spettatore. Si può lasciar vagare lo sguardo sul ricamo e scoprire una chitarra, una mano che si agita, una pipa, uno squalo, una pistola, un pennello, una lettera… Alcune forme sono lasciate all’apprezzamento dello spettatore: una forma rotonda può essere un sole, una sfera o un occhio. È un gioco senza fine di indovinelli colorati. I concetti di armonia, perdita di identità e i confini sfumati tra astrazione e figurazione sono al centro di questo lavoro, considerato come l’apice dell’arte del ricamo di Alighiero Boetti e somma di tutte le sue opere precedenti.
Le opere ricamate di Alighiero Boetti rivelano la sua filosofia: come artista, crea le regole del gioco e invita gli spettatori a giocarle. Boetti ci mette – e si mette – in una tensione tra controllo e caso, tra la concettualità di un’opera e la sua manifestazione fisica.
Il corpo di opere su carta noto come Tra sé e sé è unico per il loro processo di realizzazione. Mentre prima Boetti doveva aspettare che i suoi disegni fossero realizzati da altri, in questa serie il tempo tra la concettualizzazione e la realizzazione si accorcia notevolmente.
Nel 1980, l’Afghanistan diventa un territorio inaccessibile a causa del contesto politico critico e dell’invasione sovietica. Come per compensare questo stato di esilio forzato e dopo aver sofferto la perdita della madre, Alighiero Boetti si isola e dà vita nel suo studio romano ad una nuova serie di lavori, che rappresenta ed esprime la sua profonda disillusione nei confronti dell’umanità, dei disordini politici e delle divisioni del mondo.
Inizialmente Boetti concepisce questa serie negli anni ’70, ispirato da un gioco che faceva con sua figlia Agata. Tuttavia, nel decennio successivo introduce nuove opere nella serie, tra cui Senza titolo (Primo lavoro dell’anno pensando all’Afghanistan). Su alcune opere, l’artista incolla ritagli di giornale e foto ritagliate, come a catturare su carta le sue preoccupazioni e i suoi pensieri. Alcuni di questi disegni, come suggerisce il titolo, sono stati realizzati a partire da due viste aeree, mostrando un processo effettuato da un Boetti sdoppiato che spesso usava sia la mano destra che la sinistra – in linea con l’esperimento di sdoppiare il suo nome, minando il concetto di unicità individuale, che lo portò a firmare le sue opere dal 1972 in poi “Alighiero e Boetti” .
“A volte facevamo dei ritagli di carta delle nostre mani e li mettevamo sul pavimento, un paio per ogni lato della stanza. Li abbiamo poi collegati con una lunga linea di lettere e oggetti di varie forme e dimensioni, di solito iniziando con i pezzi più piccoli, prima di aggiungere quelli più grandi. Quando questa lunga linea di “tutto” era pronta, Alighiero metteva le mani a un’estremità di essa e io facevo lo stesso all’altra estremità, bloccando così gli oggetti posti tra noi e completando il circuito. Abbiamo chiamato questo gioco Tra me e te e abbiamo finito per realizzare una serie di opere ispirate ad esso. Ha chiamato la serie Tra sé e sé. “
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