
Vedute della mostre
Opere in mostra




Per me il fuoco è una delle energie primarie che guardo in maniera elementare, democratica e orizzontale.
Pier Paolo Calzolari, Lisbona, 2022
Così come concettualizzato nell’Arte Povera, Pier Paolo Calzolari lavora fin dall’inizio con materiali in costante conversazione tra loro, umili e provenienti dai contesti semi-industriali urbani o elementi naturali. Tra questi ci sono il fuoco, il legno, ma anche rottami, oggetti quotidiani e tubi al neon. Le sue opere sono opere d’incontro in tutti i sensi, tra lo spettatore e l’oggetto che vive nel quotidiano, ma che in questo caso ha subito una trasformazione, ma anche tra elementi artificiali e lavorati in opposizione all’elemento naturale e allo stato primordiale, come il fuoco. Dal 21 al 24 aprile, in occasione della vernice, si terrà la performance Mangiafuoco in cui un vero e proprio performer sputerà fuoco a cadenza oraria, dalle 11 alle 19.

Nato a Bologna nel 1943, Pier Paolo Calzolari trascorre l’infanzia e l’adolescenza a Venezia, il cui patrimonio artistico ed estetico lascia una traccia profonda sulla sensibilità del futuro artista.
Nel 1965 realizza a Bologna i primi lavori di pittura e presenta i primi film di Ari Marcopoulos, Andy Warhol, Jonas Mekas e Mario Schifano. Nel frattempo, incontra personaggi come Allen Ginsberg, Julian Beck, Luigi Ontani, Raymond Hains e Chet Baker. Nel 1966-1967 realizza la prima delle sue opere-performance, che coinvolge gli spettatori in una partecipazione diretta dell’opera e che Calzolari stesso definisce una “attivazione dello spazio”. Tra il 1967 e il 1972 si muove tra Parigi, New York e Berlino e porta a maturazione il suo progetto artistico.
È in questi anni che Calzolari viene incluso nel movimento dell’Arte Povera e realizza un ampio ciclo di lavori con strutture ghiaccianti e neon in cui la formazione della brina sulle forme, sancita dal passaggio del tempo, è indice del processo di trasformazione alchemica della materia. In questo modo gli oggetti e i materiali che l’artista utilizza fin dal 1967 (fuoco, ghiaccio, piombo, stagno, sale, muschio, tabacco), conoscono una seconda vita accanto agli elementi luminosi, traccia della lucentezza del marmo veneziano.
A partire dal 1972, l’artista si concentra sullo studio di una pittura anticonvenzionale. Preferendo nuovi “supporti”, come la flanella o fogli di cartone incollati sulla tela, l’artista giustappone segni pittorici a oggetti reali, come piccole barche di carta o trenini in movimento lungo percorsi ripetuti all’infinito, portando il rituale della quotidianità sul piano dell’esperienza estetica e in rapporto orizzontale con il mondo e con la storia, pur continuando a cercare di mantenere un legame con il coinvolgimento fisico delle persone.
Il suo percorso, malgrado la prossimità evidente con la produzione coeva degli artisti suoi contemporanei, è caratterizzato da diversi elementi peculiari: la volontà di saturazione dei sensi, la modalità nel rendere visibili i dati del pensiero astratto e l’essenza delle cose, nonché l’attenzione particolare rivolta alla fragilità di oggetti e materiali.