Carla Accardi e Dadamaino: tra segno e trasparenza
Lascio la mano fluire liberamente. Così l’insieme appare ora più fitto, ora più rado, ma non cerco queste diversificazioni che vengono spontaneamente e sono possibili mio malgrado. Per ora chiamo questi segni “L’alfabeto della mente” perché ritengo siano codici di un linguaggio personale.
Dadamaino
La pittura di Accardi è una dai segni sfrenati, una pittura alla ricerca della tensione estrema tra razionale e irrazionale, tra positivo e negativo. I suoi labirinti sfruttano un magnetismo sensuale, coltivano un fermento che tende ad un’agglomerazione di materie e di colori- senza limiti, strutturale e ambientale.
Germano Celant
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La mostra Carla Accardi e Dadamaino: tra segno e trasparenza. Due artiste italiane alle frontiere dell’astrazione presenta le opere di Carla Accardi (1924-2014) e Dadamaino (1930-2004) con particolare attenzione alla loro ricerca sul segno, elemento che sviluppano in modo nuovo, in particolare su supporti trasparenti, invitando ad un radicale ripensamento della nozione di “lettura” dell’opera d’arte. Carla Accardi e Dadamaino condividono una libertà e un’indipendenza che le hanno portate ad aderire a movimenti artistici diversi, creando così due percorsi unici, due vocabolari artistici distinti accomunati da un interesse per la scrittura e la trasparenza, un nuovo elemento che porta dinamicità alle loro composizioni, introducendo la tridimensionalità e invitando così il segno a vibrare nello spazio fluido. Il risultato sono due corpus di opere spesso sviluppati in serie, nei quali le due artiste esplorano le proprietà e le possibilità della pittura. Donne dai principi saldi, convinte dell’importanza dell’arte e dell’impegno sociale, parteciparono alle lotte del loro tempo, aderendo in particolare al comunismo, lasciando un segno duraturo nella storia dell’arte.
La mostra Carla Accardi e Dadamaino: tra segno e trasparenza. Due artiste italiane alle frontiere dell’astrazione è inaugurata nel maggio 2021 nella sede parigina di Tornabuoni Art, in concomitanza con la retrospettiva di Carla Accardi al Museo del Novecento di Milano e la mostra Elles font l’abstraction al Centre Pompidou, a cui la galleria partecipa attraverso il prestito di opere di entrambe le artiste.
Un catalogo accompagna la mostra, pubblicato in francese e inglese dalla casa editrice Forma Edizioni, con testi di Valérie Da Costa, storica dell’arte, curatrice e docente; Margit Rowell, precedentemente curatrice a capo del dipartimento di scultura del Centre Pompidou e in seguito in testa al dipartimento di disegno al Museum of Modern Art di New York; Jean-Pierre Criqui, storico dell’arte e direttore dei “Cahiers du Musée national d’art moderne” ed Elizabeth de Bertier, storica dell’arte.
Riconosciuta come una delle pittrici più importanti della sua generazione, Carla Accardi è nata a Trapani nel 1924. In seguito a una formazione all’Accademia delle Belle Arti di Palermo, lascia la Sicilia per Firenze stabilendosi infine a Roma, dove fonda il gruppo Forma 1 (1947-1951) con Ugo Attardi, Pietro Consagra, Piero Dorazio, Mino Guerrini, Achille Perilli, Antonio Sanfilippo e Giulio Turcato. Gli artisti di questo movimento di ispirazione marxista, puntano all’eliminazione di tutti i riferimenti simbolici e psicologici nelle loro opere ora basate sull’intuizione dell’artista, al di fuori di qualsiasi formalità dell’astrazione. Mentre alcuni torneranno al realismo o ad un’astrazione più formale, Accardi si distingue da questo gruppo di artisti per il suo carattere sperimentale che la porta a sviluppare una poetica personale che lega segno e colore.
La sua carriera artistica può essere letta in periodi distinti. All’inizio degli anni ’60 Accardi crea la serie Integrazione, caratterizzata da una ricerca monocromatica su forma e colore che si evolve in una bicromia che studia le relazioni tra colore, segno e sfondo. La seconda metà del decennio vede il ritorno del colore nelle sue opere e l’uso in particolare del sicofoil, un materiale plastico industriale luccicante e trasparente che predilige per il modo in cui recepisce e diffonde la luce, sul quale l’artista dispiega segni di vernice fluorescente. Vera e propria ode e omaggio alla luce, l’artista lascia visibili le cornici dei suoi quadri nello spazio libero dalla pittura come anche Triplice Tenda (1969-71), acquisita dal Centre Pompidou nel 2005. Negli anni Settanta, Accardi si avvicina ai movimenti femministi insieme alla critica d’arte Carla Lonzi, con la quale fonda Rivolta femminile, uno dei primi gruppi femministi italiani e, nello stesso tempo, una casa editrice che promuove la decostruzione delle idee preconcette sul genere femminile e la sua emancipazione. Nel corso della sua carriera artistica, Accardi si confronta e scambia idee con i maggiori artisti del suo tempo, da Hartung a Pollock e all’immancabile Fontana, ottenendo un riconoscimento tardivo ma universale, soprattutto dopo il 2001 quando l’artista ha la sua prima mostra personale negli Stati Uniti al MoMA PS1 di New York, seguita da una mostra al Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris nel 2002.
Sei anni più giovane di Accardi, Edoarda Emilia Maino, conosciuta con lo pseudonimo Dadamaino, è nata a Milano nel 1930. Dopo aver completato i suoi studi in farmaceutica, ha iniziato la sua carriera artistica alla fine degli anni ’50 come protagonista di un’avanguardia originariamente costituita intorno allo spazialismo di Lucio Fontana, nella Milano del dopoguerra, luogo di effervescenza artistica. Nel 1957 aderisce al progetto Azimuth – rivista d’arte e galleria omonima fondata da Piero Manzoni ed Enrico Castellani – e al movimento internazionale ZERO teorizzato da Heinz Mack.
L’eredità di Fontana, che Dadamaino cita insieme a Yves Klein per la grande influenza che ebbe sul suo lavoro, è particolarmente visibile nella sua prima serie di Volumi, presentata a Milano nel 1958, tele monocromatiche bianche o nere bucate, alla ricerca del vuoto. Questa ricerca di tridimensionalità e monocromia la conduce ad un’altra serie di opere: i Volumi a moduli sfasati, fogli di plastica sovrapposti e perforati secondo un ritmo preciso da cui si sprigiona una vibrazione visiva. La serie Oggetti ottico dinamici, iniziata nel 1962, è rappresentativa della partecipazione di Dadamaino alle ricerche cinetiche della nascente Op art, cui seguirà la Ricerca del colore, eleganti variazioni di accostamenti cromatici su un unico formato.
Caratterizzata dal non divenire scrittura reale in quanto si arresta prima che la scrittura appaia, la scrittura segnica, si sviluppa nell’immaginario dell’artista dall’inizio della sua carriera fino alla sua morte, concretizzandosi in ondulazioni astratte o tratteggi, di cui copre soprattutto tele e carte bianche. L’apparizione dell’alfabeto come sistema artistico appare nell‘Inconscio razionale (1975), una serie di quadri toccati da linee automatiche e tratteggiate, guidate dall’inconscio, che l’artista dice essere “una specie di scrittura della mente, della [sua]”.
L’opera Lettera a Tall el Zattar, dal nome del villaggio palestinese massacrato in Libano nel 1976, diventerà il punto di partenza per l’Alfabeto della mente (1977), una serie in cui Dadamaino ripete un segno specifico per ogni opera, la cosiddetta “lettera muta”, ripetuta sull’intera superficie della carta. Successivamente l’artista si dedica alla serie Costellazioni (1981-87) dove il segno si condensa e si distribuisce sul supporto. La struttura e la geometria lasciano il posto a uno svolgimento evanescente che dà luogo ai Movimenti delle cose, forme organiche nate dalla moltitudine di segni a inchiostro nero su fogli di poliestere trasparente, alcuni dei quali lunghi fino a 30 m, che l’artista disegnerà fino alla sua morte nel 2003.
La ricchezza, la coerenza e la linearità concettuale del lavoro di Dadamaino portano l’artista a una meritata, seppur tardiva, consacrazione, testimoniata per esempio dalla sua presenza nella mostra Elles font l’abstraction al Centre Pompidou. Le opere di Dadamaino sono oggi conservate nelle più prestigiose collezioni museali come la Tate Modern di Londra, il Centre Pompidou di Parigi, la Collezione Peggy Guggenheim di Venezia e il Philadelphia Museum of Art.