
Metto la plastica e la brucio. Niente di casuale. Questa che faccio è la più controllata e la più controllabile delle pitture […] a me piace di conservare l’immagine della combustione come fosse una bruciatura in atto
Alberto Burri, in M. Venturoli, Il pennello di fuoco, in “Le Ore”, n. 32, 12 agosto 1965
Quello di Alberto Burri con il fuoco è un rapporto che nasce, e riunisce, l’ispirazione creativa e la formazione scientifica. “Per molto tempo ho voluto – annota l’artista – approfondire il modo in cui il fuoco consuma, comprendere la natura della combustione e come tutto possa vivere e morire nella combustione per formare un’unità perfetta”. Burri spiega che prima di tutto ha bisogno di una superficie su cui disporre la composizione… Poi vi depone la plastica e la brucia. “Nulla è lasciato al caso. Quello che faccio qui è il tipo di pittura più controllato e controllabile…Bisogna controllare il materiale e questo si ottiene padroneggiando la tecnica.”

Alberto Burri nasce a Città di Castello nel 1915 e si laurea in Medicina all’Università di Perugia nel 1940.
Medico militare nell’esercito italiano, è catturato dagli Alleati nel 1943 e incarcerato come prigioniero di guerra in Texas, negli Stati Uniti.
È allora che decide di lasciare la professione medica per dedicarsi alla pittura. Tornato in Italia nel 1946, si stabilisce a Roma. Nel 1948 abbandona definitamente l’arte figurativa in favore di quella astratta e si interessa al potenziale espressivo delle materie prime. Nel 1950 realizza i suoi primi Sacchi, opere che dominano le personali seguenti, organizzate in varie città americane ed europee. Nel 1951 partecipa al Gruppo Origine con Mario Ballocco, Giuseppe Capogrossi ed Ettore Colla. Nel 1952 partecipa per la prima volta alla Biennale di Venezia, dove è invitato nuovamente nel 1960, 1964, 1966 e 1968. Tra il 1952 e il 1953, l’arte
di Burri attira l’attenzione internazionale grazie a mostre a New York e Chicago.
Negli anni cinquanta e sessanta realizza vari cicli di opere utilizzando il fuoco su diverse materie prime: nascono così le Combustioni, i Legni, i Ferri e le Plastiche. Negli anni settanta, mentre le sue opere vengono esposte in mostre personali e collettive presso alcuni dei musei più prestigiosi del mondo – tra cui il Museo Civico di Torino (1971), il Musée National d’Art Moderne di Parigi (1972), la Tate Gallery di Londra (1974), la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma (1976) e il Solomon R. Guggenheim Museum di New York (1978) –, sviluppa i cicli Cretti e Cellotex.
Burri crea la Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri a Città di Castello nel 1978. Qui espone una collezione permanente di opere selezionate, la cui installazione, curata da lui stesso, è rimasta invariata fino a oggi.
Nel 1989 la Fondazione Palazzo Albizzini acquisisce gli ex Seccatoi del Tabacco a Città di Castello. Queste strutture dell’architettura industriale diventano la sede perfetta per i cicli monumentali di dipinti e le sculture site specific realizzati dall’artista. Alberto Burri muore a Nizza il 13 febbraio 1995.